Io lo conosco
questo fruscio di canneti
sui declivi aridi
contesi alla frana
e queste rocce magre
dove i venti e le nebbie
danno convegno ai silenzi
che gravano a sera
sul passo stanco dei muli.
È poca l’acqua che scorre
e le vallate son secche
spaccate, d’argilla.
Di qui le mandrie migrano
con l’autunno avanzato
per la piana delle marine
tuffando i passi nelle paludi.
Di qui è passata la malaria
per le stazioncine sul Basento
squallide, segnate d’oleandri.
Da noi la malvarosa è un fiore
che trema col basilico
sulle finestre tarlate
in un vaso stinto di terracotta
e il rosmarino cresce nei prati
sulle scarpate delle vie
accanto ai buchi delle talpe.
Da noi riposa il falco e la civetta
segna la nostra morte.
Da noi il mondo è lontano,
ma c’è un odore di terra e di gaggia
e il pane ha sapore del grano.